Saturday 13 July 2019

L’uovo o la gallina?


Il noto paradosso del “è nato prima l’uovo o la gallina?” in una scienza sociale come l'urbanistica si può trasformare in: è la struttura e architettura urbana che “fa” i suoi cittadini, o è la cittadinanza che fa sì che una città si profili e sviluppi secondo le caratteristiche dei sui abitanti?

video di Peter Calthorpe su argomenti contigui


È domanda retorica, o forse questione di lana caprina, che i latini avevano però risolto alla radice, grazie all’uso della parola civitas, che secondo il dizionario Treccani designava sia la città-stato, corrispondente alla πόλις dei Greci, sia indicava l’insieme dei cittadini. Distinguendosi perciò da urbs, che invece definiva la città come complesso di edifici e di mura. Noi, che siamo oggi ben più arretrati degli antichi romani, e siamo portarti a parcellizzare l’indivisibile, la domanda invece ce la poniamo.

In questa pagina racconto una situazione reale, specifica, ma per motivi di convenienza preferisco fare un discorso generico, anche perché ho forte l’impressione che situazioni simili siano sparse in mezzo mondo. Magari la seguente storia aiuta a risolvere l’inghippo.

Ci inventiamo che questa cittadina si chiami Marina di Flavinia, e ovviamente la immaginiamo sul mare, in provincia di una grande città, che chiamiamo Urbata. Marina di Flavinia nacque come speculazione edilizia di un latifondista che creò nei propri possedimenti alloggi e stabilimenti per ricchi e aristocratici urbatani, che a fine ‘800 e nella prima parte del ‘900 vi venivano a passare l’estate al mare. Fino alla seconda guerra mondiale Marina di Flavinia rimase piccolina, ma con varie ville e villette anche di un certo pregio. Niente di che, ma almeno non sgradevoli. Fu anche residenza estiva di un famoso regista di film.

Negli anni ‘60 cominciò una impressionante speculazione, con palazzoni di svariati piani (sino a 10) vomitati su tutto il suo territorio. Per permettere la casa al mare anche alla piccola borghesia, dicevano e dicono gli amministratori della città. Per speculare e distruggere il territorio, dico io. Poi, decennio dopo decennio, Marina di Flavinia si è andata lentamente trasformando, tanto che oggi è più che altro una borgata all’estrema periferia di Urbata, abitata prevalentemente da persone alloctone (non nate né a Marina di Flavinia, né a Urbata), dal profilo socio-economico assimilabile al concetto marxiano di “proletariato”. Nella accezione meno “romantica” del termine. La grande immigrazione spiega l’immane incremento di popolazione, passata dai 7.000 abitanti del 1970 ai 45.000 residenti (ufficiali) di oggi…

Orbene, Marina di Flavinia, come detto e ribadito, da sempre è terra di speculazione edilizia. Non c’è Destra o Sinistra che tenga: Marina di Flavinia è nei fatti gestita da un gruppo di famiglie che decidono come sfruttarne il territorio.

Tale nefasta prassi edilizia negli ultimi 24 mesi ha visto una accelerazione, ma spostando il fuoco dalla usuale edificazione delle aree ancora libere, alla strategia dello “abbattere per ricostruire”: si buttano giù delle casette unifamiliari per sostituirle con ignominiose palazzine di 3 o 4 piani, abitabili da circa 12 famiglie. Una dopo l’altra stanno quindi sparendo varie villette, anche di un certo pregio (almeno relativamente al resto dell’edificato), per essere rimpiazzate da orribili palazzine, dalle forme sgraziate e anche ben simili tra loro. I servizi nelle rispettive aree di riferimento rimangono invariati, con il risultato che i nuovi residenti vanno a sussistere su un sostrato ambientale, culturale ed economico che è già deficitario (con l’eccezione di supermercati, pizzerie, gelaterie, agenzie immobiliari, negozi di parrucchiera, sale scommesse e gioco d’azzardo, che sono ovunque). Sì può obiettare che una volta esaurito il suolo da costruire sia necessario sostituire le aree già edificate, ma ciò non dovrebbe avvenire in base a criteri che apportino valore aggiunto a tutta la cittadina e cittadinanza? Perché invece sono sempre i soliti palazzinari a trarne beneficio, scaricando le esternalità sulla comunità tutta?

C’è chi azzarda l’ipotesi che la Camorra, ben radicata nel territorio, abbia molto a che vedere con tali fenomeni, che non sarebbero altro che metodi di riciclaggio di denaro sporco. Non è poi affatto da minimizzare il ruolo del “Piano Casa” della Regione, che spacciato come normativa urbanistica illuminata e lungimirante, nei fatti sembra vestito tagliato su misura addosso ai palazzinari. Camorristi compresi. Ma manteniamo il profilo legale, e pensiamo in ottica capitalistica: sappiamo essere il mercato a comandare – mascherato tra l’altro da frasi che camuffano delle speculazioni a mo’ di opere filantropiche – ma ciò che rattrista è che l’enorme degrado antropologico di questa cittadina viene esasperato nonché sospinto dal degrado architettonico. È indubbio che i palazzinari abbiano solo l’obiettivo di facili guadagni, ma chi osserva Marina di Flavinia non può non immaginare che il dio del mattone stia infierendo su questa cittadina, per renderla ancora più sgradevole e volgare, quasi a non voler creare imbarazzo a quanti dei suoi abitanti fanno della volgarità una ovvia modalità espressiva. Per scacciare persone di una certa decenza e fare di Marina di Flavinia un ghetto di paria della società? Ma non avrebbero anche costoro diritto a vivere in un luogo ameno, invece di ghettizzarsi in un una specie di favela?

Si sta arrivando a questo scientemente, oppure lo status quo è la ovvia conseguenza di una totale mancanza di politiche e strategie, che fanno avviluppare su sé stessa e implodere la povera Marina di Flavinia, strozzata da tanta mediocrità? E una città mediocre, che cittadini può attrarre? Probabilmente coloro che non hanno possibilità economiche per guardare altrove, o che arrivano da situazioni addirittura peggiori, anche da aree profondamente degradate, persino invivibili… Ma è questo che si vuole? Forse sì, perché il “mercato” ha diversi tipi di clienti…

Ciò che risulta oltremodo paradossale è che in molte città del mondo si sta fruttuosamente praticando la politica dello “abbattere-per-ricostruire” con eccellenti risultati, eliminando ghetti di poveri per costruire aree a misura d’uomo (basta pensare alle “città giardino” costruite attorno Parigi per sostituire le famigerate “banlieue”). In Italia, invece, tale Mantra, viene spesso spernacchiato quando si tratta di mostri come Corviale o Tor Bella Monaca, mentre assurge a prassi in caso di speculazioni edilizie che non possono che avere come risultato il peggioramento di un ambiente urbano, sia da un punto di vista estetico, sia per la sua vivibilità.

Gli urbanisti (degni di questo nome) condividono l’idea di una stretta correlazione tra ambiente urbano e persone che vi vivono, e queste ultime sono influenzate dall’ambiente a loro circostante. E possono persino esser migliorate! Ahimè, qua – se possibile – la correlazione è palese, ma con effetti contrari rispetto a propositi filantropici, anche se è difficile capire se è il degrado umano a spingere quello architettonico, o è il degrado architettonico ad attrarre quello umano. Forse entrambe le cose all'unisono, in un circolo senza fine. Sì, è il solito discorso dell’uovo e della gallina.

È auspicabile che pianificatori e amministratori assolvano un compito sociale, creando luoghi vivibili. Questo si dovrebbe innanzitutto insegnare nelle università. Ma come dovrebbero risolvere il paradosso dell’uovo e della gallina? Magari facendo come il contadino, che ha a cuore sia l’uovo, sia la gallina. Possibilmente ricordando l’insegnamento dei Padri Latini: le città sono fatte da edifici e dai cittadini, e l’uno è parte integrante dell’altro, senza soluzione di continuità. Vuoi sapere come è una città o un quartiere? Guarda e parla coi suoi abitanti. Vuoi sapere come sono residenti e avventori di una certa area? Osserva bene tale luogo, e troverai una buona risposta…

Pianificatori, urbanisti, amministratori! Assumetevi le vostre responsabilità!

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